L'ascesa e il declino della pesca slovena nel Golfo di Trieste

Dati storici alla mano, possiamo affermare che gli Sloveni incominciarono a pescare subito dopo essersi insediati sulle rive dell'Adriatico, nell'VIII secolo dopo Cristo. Presumibilmente utilizzarono l'attrezzatura conosciuta fino ad allora, tra la quale spicca lo zoppolo o čupa, un'imbarcazione fabbricata da un unico tronco d'albero. Esso è rimasto in uso fino alla Seconda guerra mondiale. Lo sviluppo della pesca nell'Alto Adriatico è stato ostacolato per secoli dalla mancanza di porti per la pesca, ragione per cui le imbarcazioni minori e lo zoppolo rimasero in uso molto a lungo, dato che i pescatori non avevano un luogo dove mettere a riparo le proprie imbarcazioni. Dopo che nel corso del '900 venne costruita la maggior parte dei porti che conosciamo anche oggi, la pesca conobbe una rapida ascesa durante la quale alcuni contadini riuscirono a trasformarsi in pescatori con un peschereccio di proprietà, dandovi lavoro a numerosi pescatori.

Il numero delle barche aumentò rapidamente e nel 1911 a Santa Croce, Contovello e Barcola si registrò un totale di 240 tonnellate di stazza in imbarcazioni di considerevoli dimensioni. Mentre nei tempi del feudalismo i proprietari effettivi del mare erano i signori feudali, dunque la nobiltà e il clero, nel 1835 venne proclamato un decreto ufficiale con il quale lo sfruttamento del tratto costiero veniva assegnato esclusivamente alla popolazione locale. In questo modo la popolazione slovena del litorale triestino divenne de iure et de facto proprietaria di un tratto del mare Adriatico.

 

Dopo la prima guerra mondiale, dopo che l'Italia occupò Trieste e la sua zona costiera, incominciò ad attuarsi una strategia a lungo termine ideata dagli iredentisti, quella di distruggere gradualmente la pesca degli Sloveni. Innanzitutto venne incoraggiato il trasferimento a Trieste di pescatori provenienti da Napoli. Contemporaneamente diventarono sempre più frequenti gli episodi impuniti di depredazione del mare da parte dei Chioggiotti. Le circostanze si aggravarono con la costituzione dei sindacati fascisti nei paesi sloveni, dopo la quale fu vietata la pesca ai pescatori che non vi si iscrivevano. Venne abolita la cooperativa di pescatori che fino ad allora rappresentò uno dei pilastri della pesca slovena. Vennero distrutte alcune spiagge su di cui veniva praticata la pesca del tonno. Oltre a tutto ciò il ministero per l'agricoltura, a cui competeva anche la pesca, faceva arrivare nel golfo di Trieste intere flotte di pescherecci motorizzati con reti a strascico, fino ad allora vietate, che portavano devastazione nella fauna e nella flora marina.

Nel 1954, quando la zona A del Territorio libero di Trieste venne assegnato all'Italia, continuarono i progetti elaborati in collaborazione con le organizzazioni irredentiste, secondo i quali il governo italiano assegnò la cifra allora enorme di cinque miliardi di lire per il "trasferimento di contadini e pescatori" dall'Istria alla Provincia di Trieste. Con il denaro amministrato dal malfamato e autocratico ente finanziario "Ente per le Tre Venezie", fondato ancora in era fascista e noto per una politica di espropriazione dei beni sia nella zona dell'ex litorale austriaco e del Sud Tirolo e per una palese politica irredentista, accanto ai paesi sloveni vennero costruiti ben undici complessi di abitazioni, chiamati borghi e destinati alla popolazione degli esuli istriani.

Il Sindaco del Comune di Duino Aurisina, la cui carica era ricoperta da uno sloveno, si rifiutò di firmare l'esproprio della terra di proprietà della Comunella. Egli venne deposto e il decreto venne firmato da un commissario fatto arrivare appositamente da Roma. Su quei terreni venne edificato ex novo il Villaggio del pescatore, completa di tutta l'infrastruttura necessaria che comprendeva moli, magazzini, congelatori e frigoriferi, mentre una flotta di pescherecci di grandi dimensioni venne equipaggiata con radiolocalizzatori, radar e sonar.

In ragione di tutto ciò i pescatori sloveni non poterono resistere alla concorrenza dei nuovi arrivati e furono gradualmente costretti ad abbandonare l'attività storica e a cercare lavoro altrove.

 

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